Siccome non capita tutti i giorni di andare in Giappone, proviamo a fissare qualche breve pensiero su questo viaggio.
Viaggio che per noi assume contorni particolari: ci stiamo preparando da quasi cinque anni a questi giorni, siamo praticanti di Aikido, piano piano stiamo imparando la lingua e la cultura di questo popolo.
In questo momento siamo a Dubai, in attesa del volo che partirà per Narita alle 02.40 ore locali.
Siamo arrivati un paio di ore fa, dopo sei ore di volo da Malpensa. In pratica lo stesso tempo che impieghiamo per andare da casa nostra a Roma e poi al centro federale di Ostia, col treno.
Che poi non è sempre così: tra corse soppresse e ritardi per maltempo, ormai siamo abbastanza abituati a viaggi della speranza, fatti però su treni ad alta velocità (nominale).
In questa sala di attesa dove siamo gli unici Italiani in mezzo a Giapponesi in attesa di tornare in patria, si coglie bene il paradosso del tempo e dello spazio.
Siamo tutti lontani da casa e tutti cerchiamo di ricreare uno spazio familiare, in cui sentirci a nostro agio. Uno sguardo, un sorriso accennato, un messaggio sullo smartphone…
Siamo tutti sospesi, nella distanza che si copre con poche ore. Ore che passano troppo veloci o che non passano mai, anche quando non c’è da percorrere nemmeno un chilometro.
E quale posto migliore di un gate aeroportuale per pensare al tempo come a un varco? In giapponese, 時間, jikan, è l’intervallo di tempo: 間 il cancello, il gate appunto.
Tempo e spazio si fondono, in questa sala d’attesa è la tanto famosa compostezza orientale che si inizia a intravvedere e che rende lontane anni luce le code selvagge a Malpensa di poche ore fa, è forse un riflesso di come, nel paese del Sol Levante, si cerca di fare i conti con la relatività di questi due concetti.